Juti Ravenna (1897 – 1972). Da Annone a Venezia a Treviso

redazione

Cinquant’anni fa, il 29 aprile del 1972, moriva a Treviso Juti (Luigi) Ravenna, artista eccellente e attento critico d’arte. Nel cinquantennale della sua scomparsa, i Civici Musei di Treviso gli dedicano una retrospettiva al Museo Bailo, la cui Pinacoteca conserva un suo importante nucleo di opere.

La mostra – curata da Fabrizio Malachin ed Eugenio Manzato – richiama nel titolo – “Una vita per la pittura” – la biografia dell’artista, accompagnata da 29 suoi disegni, curata da Giuseppe Mesirca, pubblica nel 1969.

Ravenna era nato a Spadacenta, frazione del comune di Annone Veneto, nel 1987. Già da giovanissimo manifestò una forte propensione per la pittura, espressa in una serie di disegni di impronta classica. Una passione che neppure la chiamata al fronte, nel primo conflitto mondiale, riuscì ad attenuare. Come testimoniano gli album di disegni realizzati in presa diretta sulle linee di combattimento, disegni che sono in parte confluiti nel già citato libro autobiografico “Una vita per la pittura” e nel “Diario di guerra del granatiere Giuriati Giuseppe, con prefazione di Luigi Comisso.
Grazie ad una licenza dal fronte, raggiunge Firenze, e qui entra in contatto con la pittura e gli scritti di Ardengo Soffici e scopre l’impressionismo francese.

Nel 1920 è nuovamente a Venezia per frequentarvi l’Accademia e già l’anno successivo comincia ad esporre. A Venezia conosce Gino Rossi e Pio Semeghini; con Seibezzi condivide a lungo l’amore per l’Isola di Burano.

La prima personale, nel 1924 a Cà Pesaro, è curata a Nino Barbantini. Seguono partecipazioni alla Quadriennale e a diverse mostre di rilievo in Italia e all’estero. La prima sua Biennale è del 1928, partecipazione puntualmente ripetuta sino al secondo conflitto, per riprendere nel 1949 e ancora nel ’50 e nel ’72. Conosce e frequenta, intanto, Filippo de Pisis, che al rientro da Parigi fu suo ospite a Venezia.
La pittura di Ravenna viene avvicinata al cosiddetto post impressionismo veneto che accumunò una generazione di giovani artisti gravitanti su Venezia, desiderosi di uscire dagli schemi di un accademismo ancora imperante per avvicinarsi al nuovo che stava lievitando in Europa

I suoi paesaggi veneziani di questi anni, così come successivamente quelli trevigiani, raccontano i luoghi, le luci, le atmosfere attingendo al registro poetico più che a quello documentario.
Nel ’51, con Virgilio Guidi vince il Premio Burano Ma già dal ‘48 si aveva scelto di abbandonare la laguna per approdare a Treviso, città dove contava molti amici. Negli inverni si rifugia invece in Liguria ed è lì che realizza la serie “Boutiques”.

“Il trasferimento a Treviso, a contatto con una natura esuberante, ricca di alberi e fiumi, fece subentrare in lui una prepotente e calda sensualità: dopo i prediletti grigi, rosa e violetti stesi sulla tela in finissimi accordi nel periodo veneziano, ecco i colori vivi e splendenti, in liberi e arditi accostamenti. Non si trattava però –scrive Giuseppe Mesirca – di un orgiastico e confuso abbandono, ma di una felice esplosione contenuta entro i limiti del più rigoroso controllo.”
Artista ma anche critico. In questa veste, oltre che con suoi disegni, interviene su diverse riviste. Nel 1943, con Egidio Bonfante , pubblica “50 disegni di Picasso” e, sempre con Bonfante, nel ’52. “ Arte Cubista”.

“Da Annone a Venezia a Treviso” il sottotitolo della mostra che ripercorre i momenti e i luoghi della vita e dell’attività di Juti Ravenna.

L’esposizione parte infatti dal luogo di nascita in cui ha ricevuto la prima formazione, forse iniziata fin dall’adolescenza con la frequenza della Scuola di Arti e Mestieri di Motta di Livenza, dove avrebbe avuto tra i suoi insegnanti Antonio Beni, architetto e pittore, e dove compie i primi esperimenti nella pittura ritraendo i familiari e la casa natale. Irreperibili i disegni eseguiti durante la guerra – testimoniati per altro dalla bibliografia – si passa quindi alle sue residenze veneziane: lo studio a Ca’ Pesaro tra il ’23 e il ’28, quello a Palazzo Carminati dal ’28 al ’47; sono di questo periodo, cruciale nella vita e nell’attività dell’artista, opere fondamentali come Il discepolo e l’Autoritratto con la stufa, nonché nature morte e vedute di Venezia e di Burano, composizioni strutturate e dal solido disegno con le quali Ravenna si avvicina al novecentismo. I rapporti con Treviso iniziano ben prima del 1947, quando vi si trasferisce, e ve n’è testimonianza in alcuni acquarelli del 1942 giunti al Museo col lascito Luccini: personaggi e vedute trevigiane costituiscono, insieme alle “boutiques” e a qualche paesaggio ligure, l’ultima parte della mostra.
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