Ecco il primo di due dischi firmati dai Moostroo, trio che significa anche Dulco Mazzoleni, Francesco Pontiggia e Igor Malvestiti. Esce “Male”, disco che, dopo un singolo quasi futuristico come “Apparenza”, forse uno dei pochi momenti dentro cui i synth digitali lasciano intravedere la faccia, ci regala un rock underground dai toni dannati e dalle venature blues (nelle intenzioni sia chiaro) … con questa voce portante che tanto deve alle frustrazioni e alle introspezioni di Agnelli o di Capovilla. Il resto è liquido ma anche rock, urbano ma anche figlio di rinascite industriali. Mi piace quel senso di rinascita che c’è dietro la polvere che cade da queste canzoni...
“Male” è la prima parte di questo nuovo progetto. Una rinascita o una vittoria? Dopo questo periodo assurdo…
Se ci si riferisce al periodo pandemico è evidente che qualcosa ha mandato in cortocircuito tanti fragili equilibri. Noi, da Bergamo, abbiamo vissuto momenti di altissima preoccupazione e profonda tristezza. Forse sì, il disco ha svolto molteplici funzioni: ci ha permesso di resistere, ci ha permesso di rielaborare gli stati d’animo, è stato forsanche una sorta di rituale esorcistico, una seduta terapeutica pubblica, un atto catartico.
Dopodiché l’assurdità è pervasiva della storia, mai p finita e mai finirà, oggi ad esempio c’è una nuova guerra in Europa e le prospettive non sembrano rosee e vogliamo parlare, ad esempio dell’assurdità di lasciar morire profughi naufragati? Ce ne sarebbero di esempi da fare, per non parlare dell’assurdità della vita quotidiana.
Viviamo nel tempo che scorre inesorabile, è una durata che deve aver senso, ma il senso non piove dal cielo, lo si deve produrre responsabilmente, ciascun per sé, in un mondo di pari. Così idealmente dovrebbe essere. Vogliamo essere presenti a noi stessi, c’è consapevolezza del divenire delle cose in relazione le une alle altre. Di fronte a questa costatazione che fare? Noi ce le cantiamo e ve le cantiamo, questo sappiamo fare.
Se ci si riferisce al periodo pandemico è evidente che qualcosa ha mandato in cortocircuito tanti fragili equilibri. Noi, da Bergamo, abbiamo vissuto momenti di altissima preoccupazione e profonda tristezza. Forse sì, il disco ha svolto molteplici funzioni: ci ha permesso di resistere, ci ha permesso di rielaborare gli stati d’animo, è stato forsanche una sorta di rituale esorcistico, una seduta terapeutica pubblica, un atto catartico.
Dopodiché l’assurdità è pervasiva della storia, mai p finita e mai finirà, oggi ad esempio c’è una nuova guerra in Europa e le prospettive non sembrano rosee e vogliamo parlare, ad esempio dell’assurdità di lasciar morire profughi naufragati? Ce ne sarebbero di esempi da fare, per non parlare dell’assurdità della vita quotidiana.
Viviamo nel tempo che scorre inesorabile, è una durata che deve aver senso, ma il senso non piove dal cielo, lo si deve produrre responsabilmente, ciascun per sé, in un mondo di pari. Così idealmente dovrebbe essere. Vogliamo essere presenti a noi stessi, c’è consapevolezza del divenire delle cose in relazione le une alle altre. Di fronte a questa costatazione che fare? Noi ce le cantiamo e ve le cantiamo, questo sappiamo fare.
Ergo che la seconda parte si titolerà “Bene”… corretto? Che sarà un doppio vinile alla fine?
Teniamo a specificare che non si tratta di un album doppio, ma di due album in dialogo tra loro. Bene uscirà verosimilmente l’anno prossimo. Stiamo meditando se cambiagli titolo in “Peggio”.
Purtroppo oggi pare che la musica debba essere prodotta solo per supporti virtuali. Per ora assecondiamo questa logica: siamo su tutte le piattaforme digitali, ma essendo feticisti, sì, aspiriamo a produrre un vinile che abbia su ciascun lato uno dei due dischi.
Teniamo a specificare che non si tratta di un album doppio, ma di due album in dialogo tra loro. Bene uscirà verosimilmente l’anno prossimo. Stiamo meditando se cambiagli titolo in “Peggio”.
Purtroppo oggi pare che la musica debba essere prodotta solo per supporti virtuali. Per ora assecondiamo questa logica: siamo su tutte le piattaforme digitali, ma essendo feticisti, sì, aspiriamo a produrre un vinile che abbia su ciascun lato uno dei due dischi.
Chiedo del vinile perché le sonorità si colorano molto di vintage. Un approccio che forse in passato non avevate (o forse non mi arrivava così marcatamente) o sbaglio?
Più che vintage, diremmo “diversamente contemporaneo”. A noi piace soprattutto la musica suonata più di quella campionata, ma non siamo rigidi in tal senso. Il disco è un prodotto di questi ultimi tre anni, suona come questi ultimi tre anni. Che rimandi al passato può darsi nella scelta di alcuni effetti in post-produzione e forse anche per lo stile musicale, ma questo non ci pare faccia male ai tempi dei samples. Solo se si teme il tempo lo si segmenta a intervalli: il disco per noi è figlio del nostro tempo. In ogni caso per quanto ci riguarda, la ricerca dei suoni è stato un passo avanti del progetto.
Quello che ci appassiona musicalmente in definitiva è il groove e da quello partiamo. Il beat cardiaco è la base, basso e batteria sono i messaggeri, gli emissari di questa pulsazione; sono gli ambasciatori che partono per glorificare la voce e i testi di Dulco, da sempre “motore immobile” che anima le cose celesti del caos che abbiamo dentro.
L’elettronica sa bene come riportarci al presente: come avete lavorato in tal senso? Chi e come avete gestito i computer o le varie programmazioni?
L’assaggio di elettronica per noi è ritmo, è ruvida espressione che «po’ esse fero e po’ esse piuma» sempre al servizio del nostro demone ispiratore: la nostra sorda speranza è che Dioniso venga a farci visita… alle prove, nei nostri sogni, nella nostra vita. È anche un’elettronica a tratti rumorosa e a tratti materica. Non è solo ritmica ma anche sogno, un universo onirico che al solo groove mancava. Un qualcosa che potesse poi cullare la voce e il testo.
Su ogni canzone c’è molto lavoro: nelle ritmiche basso-batteria sempre più complesse, nella chitarra, nelle linee vocali, nell’interpretazione. L’intenzione è stata superare noi stessi, l’oltranza, l’andare oltre. L’obiettivo raggiunto è dotare di autenticità la sperimentazione. Dulco porta un brano che gli esce dal cuore, dalla testa o dal culo, noi lo si mangia, digerisce e vomita, a Franz il compito di rimettere ordine in quel bolo, a Igor quello di dargli vita.
La produzione artistica è nostra, nello specifico la gestita Franz, il batterista, che ha le necessarie competenze che ci hanno portato in questo nuovo territorio. Per quanto ci riguarda, il suo lavoro è stato magistrale.
Il dualismo regna sovrano: ho come l’impressione che nel suono ci sia quel caos che si contrappone alla delicatezza delle liriche che sono poi la quiete… che ne pensate?
Forse è il contrario: i testi evocano il caos interiore in forma di ordine armonico manifesto. Il Caos è la Madre di tutti noi, di tutto l’universo, nato dal rimescolarsi incessante della brodaglia primordiale. Ma è anche impossibilità di comunicare. Nel Caos i significati si mescolano. Da qui l’esigenza di mettere ordine, definire, dare un significato preciso alle cose, in modo che non ci siano dubbi. La razionalità è un sistema che funziona, ma non crea nulla. Per creare, per comporre, per realizzare qualcosa di unico bisogna pescare da questo Caos, farci i conti. È un argomento che da sempre ci fa friggere. Il Caos è originario e l’ordine non è null’altro che un’urgenza umana troppo umana, ma non sempre all’altezza della paradossalità della vita.