Out of the Blue: la storia e le piratesse di “Pirate Queens”

redazione

Il producer internazionale Giovanni Pollastri e la cantante americana Annie Saltzman Pini firmano un disco apolide, immerso nel tempo antico di una storia forse meno illuminata di quello che merita. Uscito a ridosso della “Festa della Donna”, è proprio alla donna che si rivolge: le piratesse realmente esistite nella storia. Figure leggendarie a cui i due dedicano un intero disco dal suono distopico, sovversivo ma anche epico ed evocativo. Soluzioni futuristiche che danzano dentro ricami irlandesi, scozzesi, americani… sono canzoni che non cercano la forma lineare e neanche un concetto pop radiofonico. 

Un disco che segna l’inizio di un nuovo percorso assieme?
(Giovanni): Dopo l’esperienza a nome Street Tease negli anni Novanta, io e Annie siamo rimasti sempre in contatto, legati dalla passione per la musica, sia quella che abbiamo scritto anni fa, sia quella che ascoltiamo. Quando ho avuto l’idea di scrivere un album dedicato al mondo delle donne pirata, è stata lei la prima a cui ho pensato per interpretare vocalmente le loro storie, delle quali ha anche scritto tutti i testi. Ha accolto subito la mia proposta e abbiamo iniziato a collaborare insieme nuovamente con grande entusiasmo.
(Annie): Io e Giovanni abbiamo lavorato insieme per molti anni e ogni volta è un onore per me lavorare con lui. Per cui direi di sì, e in un certo senso ogni progetto è un nuovo inizio. È un po' il mio “cappellaio matto” che rende questo lavoro sempre molto eccitante. C’è ancora molto da dire per cui stiamo già pensando al prossimo lavoro.

La tessitura sonora è decisamente complessa e lontana dalle mode attuali: in che direzione avete cercato il suono?
(Giovanni): Quando compongo e suono, non mi piace l’idea di essere legato per forza di cose a un genere musicale. Ho prodotto, scritto e suonato rock, soul music, dance, blues e seguo principalmente l’istinto nel creare un ‘vestito’ da far indossare a un testo. L’album è ricco di riferimenti a vari generi e ai tanti artisti che hanno creato il musicista che sono ora, dal Prog degli anni Settanta allo Sting di “The Last Ship” passando dai Killing Joke ai T-Rex. Non credo alle “mode” nella musica, anzi, mi sembrerebbe di essere rinchiuso in uno spazio circoscritto che invece la musica stessa non vorrebbe. Sono state le storie stesse delle piratesse a indicarci la strada per creare il suono che, secondo noi, era adatto a vestire le loro storie.
 
Col senno di poi quanto questo disco somiglia a quel che avevate in mente all’inizio?
(Giovanni): Ci sono brani che “sento” già completi e arrangiati nella mia testa prima ancora di iniziare a registrarli, mentre altri si creano a strati, partendo da un riff alla chitarra, al basso o al piano, per poi svilupparsi contemporaneamente al testo. Io e Annie lavoriamo molto bene insieme. In generale io scrivo le musiche e lei i testi e le melodie ma spesso incrociamo i nostri ruoli ed è lei a far nascere un brano con un riff, oppure io intervengo su alcuni testi e li sviluppiamo insieme. Quando abbiamo ascoltato il disco tutto insieme per la prima volta, a missaggio terminato, siamo rimasti molto soddisfatti forse anche oltre le aspettative, non solo di come suona nel suo insieme, ma di come riesca a rappresentare il progetto e il concetto alle spalle della pura musica. 
(Annie): Ti posso dire che adoro questo album e si avvicina molto all’idea originale. Al tempo stesso ci vedrei anche un musical con una grande orchestra e un coro!

 
Che poi è curiosa l’origine di una simile opera: parla di donne, di storia o tutto questo è solo una scusa per rispolverare un certo tipo di rock?
(Giovanni): In questo disco siamo partiti dal concetto, dall’idea di creare un album dedicato alle donne pirata e questa idea è rimasta al centro dell’attenzione in tutta la sua fase di realizzazione. La musica rappresenta una sorta di colonna sonora delle storie raccontate, prese dal reale, ossia piratesse realmente esistite, e la musica si è messa semplicemente al servizio del concetto del disco.
(Annie): Esatto, siamo rimasti fedeli all’idea originale, quella di parlare di donne e di storia.

E pensando alla storia di quelle tradizioni: avete ripreso anche stilemi e suoni del tempo?
(Giovanni): Più che i suoni del tempo, gli arrangiamenti tengono conto dell’ambientazione in cui hanno vissuto le nostre protagoniste: in alcuni momenti serviva una sonorità celtica, in altri caraibica e in altri ancora medio-orientale, ma come dicevo sempre al servizio del progetto. Ai suoni abbiamo affiancato anche l’uso di strumenti meno tradizionali, o forse ‘tradizionali’ nel vero senso della parola, come spade, catene, boccali da locanda, vento, onde, tuoni, cannonate e tutto ciò che aiuta a creare una visione nel momento in cui si ascoltano i brani. Abbiamo lavorato molto sull’immaginario.
(Annie): Ho dovuto immergermi in alcune delle storie raccontate nei testi e capire il contesto in cui queste donne hanno vissuto, potendo quindi rappresentare un’epoca ben precisa e ben definita. Niente di volgare, abbiamo cercato di rappresentarle così come la storia ce le ha tramandate. E’ un tributo al loro coraggio e alla loro forza, quindi abbiamo cercato di fare un lavoro che avesse un certo tipo di valore nel rappresentarle nella giusta maniera.

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