Con “Non ti penserò”, Dome Dè racconta la resa più elegante che si possa vivere: quella di chi sceglie di lasciar andare senza rancore. In un’atmosfera notturna e malinconica, il brano diventa un viaggio dentro la consapevolezza di un amore finito, dove le parole non bastano più e restano solo silenzi, ricordi e verità che non si incontrano. È una canzone che parla di chiusure, ma anche di rinascite, perché a volte la libertà nasce proprio dal dire addio con dignità.
Perché hai scelto di raccontare un addio con dignità e non con rabbia?
Perché credo che la dignità sia l’ultima forma di amore che possiamo offrire, anche quando una storia finisce. Raccontare un addio senza rabbia significa riconoscere il valore di ciò che è stato, senza cercare colpevoli. “Non ti penserò” nasce proprio da quel momento in cui si smette di lottare contro il passato e si sceglie di lasciarlo andare con rispetto.
Pensi che la musica possa aiutare chi ascolta ad affrontare la fine di una relazione?
Assolutamente sì. La musica riesce a dire cose che spesso non riusciamo a esprimere da soli. Quando ascolti una canzone e ti riconosci nelle sue parole, ti senti meno solo. È come se qualcuno avesse tradotto il tuo dolore e ti tendesse una mano. Questo è il potere terapeutico della musica.
Nella tua esperienza personale, cos’è più difficile: lasciare o essere lasciati?
Dipende dal contesto, ma in entrambi i casi la parte più difficile è accettare che qualcosa sia finito. Lasciare richiede coraggio, essere lasciati richiede forza. In entrambi i casi, bisogna fare i conti con un vuoto che prima era colmo di presenza.
Se dovessi descrivere “Non ti penserò” con una sola immagine, quale sarebbe?
Una finestra aperta nella notte. Dentro, silenzio e introspezione; fuori, l’aria fresca che entra come un nuovo inizio. È un’immagine sospesa, malinconica ma piena di possibilità.
Quale messaggio speri arrivi a chi vive situazioni simili?
Che lasciare andare non è una sconfitta, ma una forma di cura verso sé stessi. Che si può chiudere una porta senza sbatterla. E che anche nel dolore può nascere qualcosa di prezioso: la consapevolezza.

