Intervista a Gemini: il nuovo disco “Universi”

redazione

Con “Universi”, Gemini raccoglie e sintetizza il proprio percorso artistico in un disco maturo e consapevole. Un album che nasce da esperienze, collaborazioni e ricerca personale, confermandolo come una delle voci più autentiche della nuova scena cantautorale italiana.

“Universi” attraversa l’amore in tutte le sue forme, tra scrittura diretta e immaginazione, alternando momenti più leggeri a passaggi di maggiore profondità. In questa intervista, Gemini racconta il senso del disco, il bisogno di presenza, la fragilità e la ricerca di una pace interiore che attraversa l’intero lavoro.

L’intero album sembra attraversare una lunga ricerca di pace interiore. C’è stato un momento in cui hai pensato di esserti avvicinato davvero alla serenità?
Sì, ed è stato un momento minuscolo, non “da film”: una sera in cui non avevo più voglia di scappare da me stesso. Ho capito che la serenità non è un posto dove arrivi e resti, è un modo di respirare anche quando fuori è casino. Con questo disco mi sono avvicinato a quella pace quando ho smesso di pretendere di essere sempre forte e ho iniziato a guardarmi con più gentilezza.

“Dimmi che ci sei” rivela un bisogno viscerale di certezza. Ti è difficile chiedere presenza nella vita reale?
Mi è difficile perché ho sempre avuto paura di “pesare”. A volte chiedere presenza sembra una richiesta enorme, come se stessi chiedendo troppo. In realtà è una cosa semplice: sapere che dall’altra parte c’è qualcuno che rimane, anche quando non sei perfetto. “Dimmi che ci sei” è proprio questo: una mano tesa, senza orgoglio.

L’incontro “all’improvviso” che racconti nel disco è più un ricordo o un desiderio?
È tutte e due le cose. È il ricordo di quelle volte in cui la vita ti sorprende quando non stai cercando niente… e allo stesso tempo è il desiderio che succeda ancora. Perché mi piace pensare che certi incastri non li puoi programmare: arrivano e basta, e ti cambiano il passo.

C’è una paura che hai esorcizzato grazie alla musica?
La paura di non essere capito e quella di restare “in mezzo”, né abbastanza per me né abbastanza per gli altri. Scrivere mi ha insegnato che puoi essere confuso e vero nello stesso momento. La musica non cancella le paure, però le rende nominabili. E quando dai un nome a qualcosa, smette di comandarti.

Qual è la fragilità che oggi guardi con più tenerezza?
La mia sensibilità. Prima la vivevo come un difetto, come un tasto troppo scoperto. Adesso la guardo con tenerezza perché è anche ciò che mi fa scrivere, sentire, restare umano. Se mi ferisce, è vero… ma è anche quello che mi salva.

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